Vettura centra un capriolo: come ottenere un adeguato risarcimento
I giudici fanno chiarezza sui requisiti necessari per avanzare pretese nei confronti dell’ente pubblico
Vettura centra in pieno un capriolo lungo una strada provinciale nelle Marche. Per ottenere dalla Regione un adeguato risarcimento, l’automobilista deve prima allegare che il danno è stato causato dall’animale selvatico (appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato) e poi dimostrare la dinamica del sinistro, il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito e, infine, l’appartenenza dell’animale ad una delle specie oggetto della tutela prevista dalla legge numero 157 del 1992 per la fauna selvatica a sangue caldo, o, in alternativa, che comunque si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.
Questa la prospettiva tracciata dai giudici (ordinanza numero 21427 del 25 luglio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso originato da un episodio verificatosi circa sei anni fa in provincia di Macerata.
Il fattaccio risale, difatti, alla metà di settembre del 2019, quando, lungo una strada provinciale, un animale selvatico – un capriolo, per la precisione – irrompe repentinamente dinanzi ad una vettura in marcia, rendendo inevitabile la collisione, nonostante la moderata velocità di transito del veicolo.
A fronte dei danni riportati dall’automobile, il proprietario (e conducente in occasione dell’impatto col capriolo) chiama in causa la Regione Marche, chiedendo quasi 3mila e 900 euro come risarcimento. Secondo l’uomo, difatti, è palese la responsabilità addebitabile alla Regione Marche. Ciò perché, spiega, subito dopo l’incidente, è intervenuta una pattuglia dei Carabinieri, e i militari hanno redatto verbale di sopralluogo, attestando, tra l’altro, la presenza a terra dell’animale esanime, nonché danni alla vettura compatibili con l’urto e tracce ematiche e di peli sulla carrozzeria del veicolo, oltre, soprattutto, all’assenza di reti di contenimento, dissuasori ottici e apposita segnaletica di pericolo.
In primo grado, la richiesta di risarcimento viene ritenuta fondata. In secondo grado, invece, viene esclusa la responsabilità della Regione Marche, con conseguente negazione del ristoro economico in favore del proprietario della vettura danneggiata.
Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta la parte lesa contesta la valutazione pro Regione Marche compiuta dai giudici d’Appello e annota, innanzitutto, che ci si trova di fronte ad un caso di responsabilità per danni cagionati da animali. Subito dopo, aggiunge che il suo cliente ha fornito la prova rigorosa degli elementi richiesti, ossia: la dinamica del sinistro; la circostanza che l’evento sia stato causato da un animale selvatico; il nesso eziologico tra il fatto dell’animale e il danno subìto; la riconducibilità dell’animale alla fauna selvatica, rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato; nonché, e soprattutto, l’inesistenza di un comportamento colposo da parte del conducente, che non avrebbe potuto evitare l’impatto, così da escludere qualsiasi suo concorso di colpa.
A fronte di questi elementi, avrebbe dovuto essere la Regione Marche a dimostrare il caso fortuito – cosa non avvenuta – per andare esente da responsabilità per la disavventura vissuta dall’automobilista, che, invece, ha offerto prova della totale assenza di segnaletica verticale idonea ad avvisare gli utenti della strada del pericolo di attraversamento di animali, nonché della mancanza di dissuasori ottici e di barriere di contenimento lungo i margini della carreggiata, nonostante la nota presenza di fauna selvatica in quel tratto e il pregresso verificarsi di analoghi sinistri», elementi, questi, rilevanti, aggiunge ancora il legale, poiché la pubblica amministrazione «può essere ritenuta responsabile per omessa adozione delle misure di prevenzione idonee a evitare o ridurre il rischio di attraversamento di fauna selvatica su strade aperte al traffico veicolare.
A fronte delle obiezioni sollevate dal legale dell’automobilista, i magistrati di Cassazione sottolineano, in premessa, che i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla pubblica amministrazione, giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto dalla normativa si fonda non sul dovere di custodia ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette, alla luce della legge numero 157 del 1992, rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema. Di conseguenza, nella relativa azione risarcitoria la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte da altri enti.
In tema di responsabilità per danni derivanti dall’urto tra un autoveicolo ed un animale, la presunzione di responsabilità a carico del conducente concorre con la presunzione di colpa a carico del proprietario dell’animale, ma non prevale su questa, sicché, se uno dei soggetti coinvolti supera la presunzione posta a suo carico, la responsabilità grava sull’altro, mentre, se, invece, entrambi vincono la presunzione di colpa, ciascuno va esente da responsabilità, e, infine, se nessuno dei due raggiunge la prova liberatoria, la responsabilità grava su ognuno in pari misura.
Ciò detto, il soggetto danneggiato deve certamente provare che l’evento sia avvenuto in dipendenza della condotta dell’animale selvatico. E attiene alla ricostruzione del nesso causale tra condotta dell’animale e sinistro la concreta esclusione di elementi causali, quali la condotta negligente del soggetto danneggiato, idonei ad elidere quel nesso. Tuttavia, l’assoluta imprevedibilità della condotta dell’animale oppure l’efficienza causale di una specifica condotta comunque colposa del soggetto danneggiato integra l’oggetto di una prova liberatoria incombente sul soggetto responsabile e non sul soggetto danneggiato. Non a caso, l’assenza di qualsiasi colpa del soggetto danneggiato va da quest’ultimo allegata e provata solo quando sia stato anche conducente di veicolo in occasione del sinistro.
Per fare chiarezza, oltre la specifica vicenda, i magistrati di Cassazione fissano alcuni rilevanti principi: il soggetto danneggiato deve allegare che il danno è stato causato dall’animale selvatico (appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato) e dimostrare: la dinamica del sinistro; il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito; l’appartenenza dell’animale ad una delle specie oggetto della tutela prevista dalla legge numero 157 del 1992 o che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato. Se il soggetto danneggiato è stato anche conducente del veicolo, deve altresì allegare e dimostrare: l’esatta dinamica del sinistro, da cui emerga che egli ha adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida; che la condotta dell’animale selvatico ha avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui, nonostante ogni cautela, non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno; per altro verso, è onere dell’ente pubblico, convenuto in giudizio, fornire la prova liberatoria, ossia la ricorrenza del caso fortuito. E, in tale ottica, normativa alla mano, il responsabile non può liberarsi provando di avere tenuto un comportamento diligente volto ad evitare il danno né dimostrando che il danno si sarebbe verificato nonostante la diligenza da lui esigibile, data l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento dannoso, né tantomeno sostenendo che l’intervento del caso fortuito abbia reso oggettivamente impossibile la custodia.
Di conseguenza, laddove non sia efficacemente superata alcuna di tali presunzioni, il soggetto danneggiato che sia anche conducente potrà conseguire il ristoro della sola metà dei danni patiti, precisano i giudici di Cassazione.
Alla luce di tale prospettiva, è evidente l’errore compiuto in secondo grado applicando il paradigma della responsabilità per colpa ed escludendo la responsabilità della Regione Marche senza compiere alcun accertamento dell’effettiva esistenza del caso fortuito, quale elemento oggettivo idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra danno ed evento, in guisa di causa alternativa prevalente che, rispetto a quella individuata dal soggetto danneggiato, ha cagionato l’evento dannoso, la cui prova incombe sul preteso responsabile.
In sostanza, l’accertamento non avrebbe potuto limitarsi, come di fatto è accaduto, alla verifica della sola condotta del soggetto danneggiato, poiché sarebbe stato necessario in secondo grado applicare lo statuto della responsabilità da fatto degli animali e, quindi, verificare se il soggetto danneggiato avesse assolto l’onere di asseverazione del fatto dannoso, della riconducibilità all’animale selvatico e della sussistenza del nesso causale tra fatto dell’animale e danno alla vettura, e solo successivamente accertare se la parte convenuta (la Regione Marche) avesse fornito la prova liberatoria, costituita esclusivamente dal caso fortuito, unico elemento idoneo ad escludere la responsabilità dell’ente, per poi verificare se, coincidenti le qualità di danneggiato e di conducente, quest’ultimo avesse provato di essere esente da colpa nella condotta di guida.