Nessun rispetto per la personalità della figlia: condannati i genitori integralisti

Evidente la gravità dei fatti posti in essere dalla donna e dall’uomo, i quali hanno mostrato la totale mancanza di affectio familiaris, compiendo una inaccettabile serie di comportamenti denigratori in danno della figlia

Se l’integralismo religioso dei genitori non rispetta minimamente la personalità della figlia – ancora minorenne –, allora è legittima la condanna di mamma e papà per il reato di maltrattamenti.
Questa la prospettiva tracciata dai giudici (sentenza numero 37806 del 20 novembre 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’incubo vissuto tra le mura domestiche da una ragazzina preda dell’integralismo religioso dei genitori, entrambi musulmani.
Scenario della vicenda è la provincia lombarda. A dare il ‘la’ agli accertamenti delle forze dell’ordine, accertamenti che poi faranno finire sotto processo un uomo e una donna, è la telefonata fatta da una ragazzina al ‘Telefono Azzurro’, telefonata in cui chiede aiuto all’operatore, riportando l’incubo da lei vissuto tra le mura domestiche a causa dell’integralismo religioso della madre e del padre, entrambi musulmani.
I racconti fatti dalla ragazzina sono sufficienti non solo per ottenere l’intervento dei ‘Servizi Sociali’ e per allertare le forze dell’ordine ma anche, secondo i giudici di merito, per ritenere i due genitori colpevoli del reato di maltrattamenti in famiglia ai danni della figlia, arrivata addirittura a spingersi, a causa dell’incubo vissuto tra le mura domestiche, ad atti di autolesionismo.
A chiudere il cerchio, respingendo le obiezioni sollevate dai due genitori, provvedono i giudici di Cassazione, sancendone in via definitiva la condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia.
Decisivo il riferimento alla attendibilità della persona offesa. Su questo fronte vanno valorizzate, secondo i giudici, le prime dichiarazioni, del tutto spontanee della ragazzina, dichiarazioni veicolate al ‘Telefono Azzurro’, cui aveva chiesto aiuto. Non a caso, gli operatori telefonici hanno trascritto il contenuto della conversazione e, su autorizzazione della minore, hanno contattato i ‘Servizi Sociali’, innescando il procedimento che ha portato, in tempi brevissimi, al decreto di affidamento della ragazzina agli stessi ‘Servizi Sociali’, avendo ritenuto, i giudici, concreto e attuale il pericolo che il padre volesse mandare in Egitto la figlia e non farla più tornare in Italia.
A fronte dell’allarme lanciato al ‘Telefono Azzurro’, la ragazzina non ha mai ampliato la narrazione, che è rimasta costante nel nucleo centrale (sia nel corso della prima conversazione telefonica avuta con gli operatori del ‘Telefono Azzurro’, sia in sede di sommarie informazioni, sia, infine, in sede di incidente probatorio), e, annotano i magistrati di Cassazione, dalle sue dichiarazioni emergono la difficoltà di vivere in una famiglia musulmana integralista, le vessazioni continue subite in quanto appartenente al genere femminile (venendo svilita con frasi del tipo “noi volevamo un maschio”), le minacce perché non sottostava agli ordini del padre, la prospettazione di essere portata in Egitto – dove avrebbe dovuto sposare il primo che capitava, così i genitori “si sarebbero tolti un peso” –, le percosse e le ingiurie, per motivi anche futili, quali il parlare con i compagni di classe o il riportare un brutto voto.
Per chiudere il cerchio, infine, i magistrati sottolineano la gravità dei fatti posti in essere dalla donna e dall’uomo, i quali hanno mostrato la totale mancanza di affectio familiaris, compiendo una inaccettabile serie di comportamenti denigratori in danno della figlia, la quale ha dovuto affrontare anni di vessazioni e si ritrova, ora, ad affrontare un futuro del tutto incerto, in assenza di figure familiari di riferimento e finanche dell’appoggio della comunità di origine. Nonostante ciò, però, i due genitori non hanno minimamente compreso il disvalore delle loro condotte, chiosano i giudici di Cassazione.

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