Disturbo della personalità e generiche forme di disagio: in dubbio l’adozione dell’amministrazione di sostegno

Scontro tra due sorelle. Il ricorso all’amministrazione di sostegno, che risponde a precise finalità individuate dal legislatore, non può rappresentare uno strumento per dirimere conflitti familiari afferente alla gestione di beni ereditari per i quali esistono appositi rimedi approntati dall’ordinamento

Disturbo della personalità e generiche forme di disagio: in dubbio l’adozione dell’amministrazione di sostegno

Il riferimento ad un disturbo della personalità e a generiche forme di disagio non può bastare per legittimare l’adozione dell’amministrazione di sostegno.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 25890 del 22 settembre 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il duro scontro tra due sorelle, Valeria e Barbara – nomi di fantasia –, con la prima che chiede venga dichiarata l’apertura dell’amministrazione di sostegno a beneficio della seconda, che, invece, si oppone totalmente a questa ipotesi.
Per i giudici di merito il quadro è chiaro: la fragilità patologica in capo a Barbara non coinvolge per intero la sua sfera personale, essendo infatti stata da tutti riconosciuta in grado di svolgere attività professionale quale insegnante di grande levatura e di essere un’artista brillante e nota (e di ciò ha dato atto in particolare il dirigente scolastico), ma la sua piena capacità di gestire gli aspetti professionali e la quotidianità, tuttavia, non preclude di prendere atto che ella invece non è in grado di gestire alcuni aspetti patrimoniali, specie con riguardo alla gestione degli immobili e dell’eredità (ella ha dedotto le difficoltà di gestire una villa di grandi dimensioni e di aver dovuto chiudere alcuni ambienti), al punto che tali condotte sono risultate per lei stessa davvero pregiudizievoli.
Per i giudici di merito, poi, anche l’opposizione di Barbara alla misura dell’amministrazione di sostegno da attuarsi a suo beneficio sembra derivare da tali profili di patologica fragilità. In Appello, in particolare, viene sottolineato che, nonostante l’invito a fornire rassicurazioni e specifici ragguagli in ordine alla presenza di congiunti, e, in particolare, del marito, in grado di svolgere una funzione vicariante attraverso opportune deleghe (a prescindere dall’incarico conferito al ‘Servizio sociale’), nulla aveva riferito la difesa di Barbara.
Resta, quindi, per i giudici di secondo grado, solo una strada: prendere atto, a fronte delle condizioni psico-fisiche di Barbara, di un’incapacità gestionale che consiste in un’oggettiva condizione di impasse, non superabile in altro modo se non con il ricorso all’amministrazione di sostegno, e ciò anche a causa dell’indisponibilità della donna e dell’assenza di soggetti in grado di supportarla e della particolare entità del patrimonio da gestire.
Peraltro, l’interesse di Barbara che si viene a tutelare non è meramente patrimoniale, ma riguarda l’intera sfera della persona, poiché le condotte da lei tenute, cioè la completa trascuratezza dei beni in comproprietà, con impedimento alla comproprietaria di accedervi e di provvedere; l’immotivato rifiuto di pagamento delle imposte, con conseguente applicazione di sanzioni ed aggravamento del debito tributario; il mancato pagamento delle utenze, per le quali non è stata fatta voltura; lo stato di incuria dell’abitazione e delle alberature, ne dimostrano, secondo i giudici d’Appello, l’incapacità di provvedere adeguatamente alla cura dei propri interessi, includendo sicurezza, salute e igiene.
Senza dimenticare, poi, il pregiudizio da lei subito a causa della inadeguatezza delle iniziative, a volte giudiziarie, da lei attuate e che, lungi dal costituire una adeguata tutela dei propri diritti, l’hanno esposta ad ulteriori indebitamenti e a una ingravescente conflittualità giudiziaria destinata a riverberarsi sulla sua serenità e sulla sua salute.
A fronte delle obiezioni sollevate da Barbara, che denuncia un’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno avvenuta al di fuori dei presupposti normativi, per i magistrati della Cassazione va rivalutata la richiesta avanzata da Valeria, parendo, fino a prova contraria, fragili gli elementi utilizzati per ritenere Barbara non in grado di badare a sé stessa.
Prima di esaminare da vicino la vicenda, comunque, i giudici di terzo grado richiamano il quadro normativo, sottolineando che l’amministrazione di sostegno, innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi infermità o menomazione fisica – non necessariamente di ordine mentale –, uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire e che – a differenza dell’interdizione e dell’inabilitazione – sia idoneo ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa. L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido.
In generale, poi, la valutazione di congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario richiede che si tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del soggetto, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa il soggetto, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del soggetto, ma senza essere eccessivamente penalizzante. Di conseguenza, le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongono che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata, sia rispetto alle condizioni di menomazione del soggetto, sia rispetto alla incidenza di quelle condizioni sulla capacità del soggetto di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, anche eventualmente avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe approntato da lui. Inoltre, il perimetro dei poteri gestori ordinari attribuibili all’amministratore di sostegno va delineato in termini direttamente proporzionati ad entrambi gli anzidetti elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.
In questo quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione devono essere opportunamente considerate, annotano i giudici di Cassazione, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi proposti dallo stesso soggetto, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza.
Ragionando in questa ottica, va rilevata, sanciscono i giudici di Cassazione, la capacità di Barbara, prima dell’adozione del provvedimento di amministrazione di sostegno nei suoi confronti, di svolgere autonomamente attività lavorativa e di curare gli aspetti della vita ordinaria, e va tenuto presente che l’eventuale esigenza di protezione di Barbara potrebbe passare attraverso una verifica dell’esistenza di una rete familiare in grado di svolgere una funzione vicariante per supportarla negli aspetti più complessi della gestione del suo patrimonio.
Invece, la decisione d’Appello è fondata su una serie di elementi di natura indiziaria circa la condizione di Barbara, ritenuta tale da richiedere l’intervento di sostegno, elementi che, però, nell’ambito di una valutazione complessiva, non può dirsi costituiscano prova sufficiente dei presupposti della misura. Anche perché, in tema di amministrazione di sostegno, l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata, sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione – sia rispetto all’incidenza di quelle condizioni sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, della nomina di un curatore speciale per la gestione dei beni in comunione.
In questa vicenda, però, i giudici d’Appello hanno valorizzato alcune forme di disagio prive, di per sé, di una sufficiente valenza in ordine ai presupposti dell’amministratore di sostegno, facendo riferimento ad un disturbo della personalità definito “evitante” ma non hanno chiaramente statuito riguardo al fatto che Barbara era persona priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi infermità o menomazione fisica, tale che la ponesse nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi. Inoltre, essi, sulla premessa che Barbara si era rifiutata di presentarsi all’incontro con gli operatori del ‘Servizio sociale’, così come nel passato aveva rifiutato di sottoporsi ad una consulenza tecnica d’ufficio ed aveva tenuto una condotta ingiustificatamente oppositiva, anche in ordine alle iniziative intraprese per acquisire riscontri in ordine al suo stato di salute, ne hanno dedotto che ella fosse affetta da una fragilità patologica che pur non coinvolgendo per intero la sua sfera personale (essendo stata infatti da tutti riconosciuta in grado di svolgere attività professionale quale insegnante di grande levatura e di essere un’artista brillante) tuttavia non la rendevano in grado di gestire alcuni aspetti patrimoniali, specie con riguardo alla gestione degli immobili e dell’eredità. Consequenziale, quindi, secondo i giudici d’Appello, il ricorso alla figura dell’amministrazione di sostegno a causa dell’indisponibilità di Barbara e dell’assenza di soggetti in grado di supportarla, e vista la particolare entità del patrimonio da gestire.
Questa visione viene però ‘censurata’ dai giudici di Cassazione, i quali spiegano che non è conclusione inequivocabile quella secondo cui la condotta non collaborativa di Barbara e il suo rifiuto aprioristico di sottoporsi alle visite prescritte costituisse un indice significativo di una condizione di salute tale da rendere necessaria la nomina di un amministratore di sostegno. Né la condotta non collaborativa di Barbara può lasciar presumere una menomazione o difficoltà di vita significativa tale da porla nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi. Né tale comportamento oppositivo esclude che ella sia in realtà una persona lucida, per quanto conducente una forma di vita apparentemente inconsueta, non potendosi escludere che tali anomalie siano da considerare la manifestazione di asprezze o forme caratteriali.
In generale, poi, l’ambito dei poteri da conferire all’amministratore di sostegno deve rispondere alle specifiche finalità di tutela del soggetto amministrato e non può prescindere da risultanze espressive di un chiaro e significativo stato di menomazione o difficoltà della persona che s’ipotizza bisognevole di tutela e in questa vicenda non risulta sia stata accertata una condizione di menomazione individuale tale da influire su scelte gestionali coerenti con la percezione dei bisogni individuali mentre le carenze sembrano prospettate esclusivamente in relazione alla gestione dei beni ereditari, e la pretesa incapacità di gestire beni facenti parti del compendio ereditario ben può essere ovviata con altre misure quali la nomina di un amministratore giudiziario, precisano i giudici di Cassazione, i quali, riaffidando la questione alla Corte d’Appello, in chiusura sottolineano che il ricorso all’amministrazione di sostegno, che risponde a precise finalità individuate dal legislatore, non può rappresentare uno strumento per dirimere conflitti familiari afferente alla gestione di beni ereditari per i quali esistono appositi rimedi approntati dall’ordinamento.

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